Qualche mente illuminata, alcuni decenni addietro, ha definito la nostra civiltà “consumistica”. Indicando con questo aggettivo (cito da Wikipedia) “gli effetti dell’identificazione della felicità personale con l’acquisto, il possesso e il consumo continuo di beni materiali, generalmente favorito dall’eccessiva pubblicità”.

Bene. Essendo passata un po’ di acqua sotto i ponti, vogliamo provare a fare un passo avanti? O almeno, più realisticamente, di lato?

La domanda da blog è: ci sono altre modalità di comportamento che possono definirsi centrali nella nostra società?

Escludendo (ma solo perchè ci porterebbero troppo lontano)  la mazzetta e il bunga-bunga, propongo la seguente categoria: lo shopping. O meglio, la Shoppitude (shopping attitude).

A pensarci bene, l’attitudine allo shopping è presente nelle nostre vite molto più di quanto si creda. E non solo per effetto della digital economy, che porta le brand experience nelle nostre case e sui nostri smartphone, e avvicina ogni atto di acquisto.

Ad esser cinici, quasi ogni nostra azione potrebbe essere letta in senso lato sotto questa lente.

Bevo un caffè? Faccio shopping di energia. Leggo un libro (ok, un e-book)? Faccio shopping di cultura, sempre che il libro sia valido. Mi dedico allo yoga? Sto facendo shopping di benessere e pace interiore. Partecipo alla vita della mia community online? Faccio shopping di opinioni, reputation, likes, followers.

Va da sè che nel nostro slang quotidiano le espressioni attinenti si sprecano. “(questa idea) non me la devi vendere”; “(questo concetto) te lo compro”, e via discorrendo.

Karl Marx e Thorstein Veblen non sarebbero d’accordo. Ma la Shoppitude, che lo vogliamo o meno, è tra noi.